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La partecipazione del contribuente nella fase antecedente l’emissione dell’atto impositivo costituisce, storicamente, uno delle più controverse questioni in materia tributaria.
Prima delle novità - di cui si dirà appresso - apportate alla nostra legislazione in attuazione dei criteri direttivi contenuti nella Legge delega n. 111/2023 (c.d. “Delega fiscale”), il diritto al c.d. “contraddittorio preventivo” era limitato a poche casistiche ben delimitate o a specifici comparti impositivi.
Si pensi al diritto del contribuente alla presentazione di osservazioni e richieste entro 60 giorni dal rilascio del processo verbale di constatazione (art. 12 co. 7 della L. 212 del 2000, oggi abrogato), oppure al diritto di presentare deduzioni difensive entro 60 giorni dalla ricezione gli atti di contestazione delle sanzioni conseguenti a violazioni di norme di natura tributaria (art. 16 co. 4 del D.lgs. 472/1997). Trattasi di forme di contraddittorio che sono state indebolite dalla sostanziale assenza di obbligo in capo all’amministrazione finanziaria di motivare, a pena di nullità del successivo atto impositivo emesso, in merito ai motivi per cui si riteneva di non accogliere le osservazioni/richieste e deduzioni del contribuente.
Oppure ancora si pensi agli inviti a comparire per l’avvio obbligatorio della procedura di accertamento con adesione (ex art. 5-ter del D.Lgs 218/1997), limitati a quello sparuto numero di casi in cui non era stato prima emesso un Processo Verbale di Constatazione e a quei casi diversi dagli “accertamenti parziali” (ex artt. 41-bis del DPR 600/73 e 54 co. 5 del DPR 633/72; gli accertamenti parziali, come noto, costituiscono la tipologia largamente preponderante degli avvisi accertamento emessi dall’amministrazione finanziaria).
Il diritto generalizzato al contraddittorio preventivo aveva invece trovato riconoscimento generalizzato – grazie alla giurisprudenza della Corte di Giustizia dell’Unione Europea – in materia di tributi unionali. Tale diritto era stato tuttavia ridimensionato dalla c.d. “prova di resistenza”, ovvero sia dalla dimostrazione (di cui era onerato il contribuente) che se il contraddittorio fosse stato instaurato, il procedimento amministrativo avrebbe avuto un esito diverso.
Non erano certamente mancati i tentativi della giurisprudenza interna di estendere il diritto al contraddittorio preventivo in via generalizzata, supplendo alle evidenti lacune normative. Si pensi alla storica pronuncia n. 18184 del 29 luglio 2013 delle Sezioni unite della Corte di Cassazione, che si era espressamente dichiarata a favore di una generalizzata espansione della garanzia del contraddittorio preventivo, quale espressione di principio immanente all'ordinamento nazionale e a quello europeo. Tale pronuncia era stata tuttavia depotenziata da una serie di successive pronunce di legittimità, di segno contrario, che avevamo circoscritto tale garanzia alle specifiche situazioni prima richiamate, valorizzando il dettato letterale delle norme.
In tale contesto, si inserisce la Delega fiscale, con la quale si è inserito nello Statuto del Contribuente la previsione del diritto al contraddittorio preventivo generalizzato, informato ed effettivo (art. 1 co. 3 bis e art. 6 co. 2-bis dello Statuto del Contribuente, introdotti dal D.lgs. 30.12.2023 n. 219, “Modifiche allo statuto dei diritti del contribuente”), da svolgersi a pena di annullabilità del successivo atto impositivo emesso.
È stato così previsto come regola generale, prima dell’invio di un atto impositivo impugnabile avanti il Giudice Tributario, lo svolgimento obbligatorio del contraddittorio tra contribuente e l’ente impositore. Trattasi di un contraddittorio non delimitato a specifici comparti impositivi o a specifiche situazioni (salvo quanto si dirà tra poco) e, quindi, generalizzato.
Si introduce quindi una regola generale - si è detto - ma con una deroga riferita a quegli “atti automatizzati, sostanzialmente automatizzati, di pronta liquidazione e di controllo formale delle dichiarazioni individuati con decreto del Ministro dell'economia e delle finanze, nonché' per i casi motivati di fondato pericolo per la riscossione”. L’eccezione dovrebbe, pertanto, essere confinata a quelle ipotesi di atti che di fatto seguono a controllo di natura “formale”, cartolare e/o automatizzata (ad esempio cartelle di pagamento ex artt. 36-bis e 36-ter del DPR 600/1973, 54-bis del DPR 633/1972, avvisi di liquidazione dell’imposta di registro riferite ad atti giudiziari), dovendo invece la regola generale valere per tutti gli atti emessi a seguito di controlli di natura “sostanziale” (ad esempio avvisi di accertamento, atti di contestazione).
Tale contraddittorio sarà instaurato a seguito dell’invio del c.d. “schema d’atto” che dovrà riprodurre – nei tratti essenziali – l’ipotesi di accertamento prospettata dall’amministrazione finanziaria.
Avverso lo schema d’atto potranno essere presentate, entro 60 giorni, controdeduzioni. Oppure il contribuente potrà, entro 30 giorni, fare istanza per l’avvio della procedura di accertamento con adesione. L'eventuale atto impositivo successivamente adottato all'esito del contraddittorio, dovrà tenere conto delle osservazioni del contribuente e dovrà essere motivato con riferimento a quelle che l'Amministrazione ritiene di non accogliere.
Si noti come il Legislatore, nell’introdurre lo schema d’atto, abbia inteso preservare l’accertamento con adesione, che storicamente - e a maggior ragione a seguito dell’abolizione del c.d. reclamo mediazione - costituisce il più efficace e consolidato strumento deflativo del contenzioso tributario.
Nel preservarlo, ne ha modificato l’iter procedurale (per il tramite del D.lgs.. n. 13 del 12.2.2024, “Disposizioni in materia di accertamento tributario e di concordato preventivo biennale”) al fine di armonizzarlo con l’introduzione dello schema d’atto.
Sintetizzando, sarà oggi possibile richiedere l’attivazione dell’accertamento con adesione:
- Dopo la conclusione di verifica che si concluda con Processo Verbale di Constatazione;
- Dopo la ricezione dello “schema d’atto” (se l’adesione non è stata precedentemente attivata nel caso 1);
- Dopo la ricezione dell’atto impositivo (se l’adesione non è stata precedentemente attivata nei casi 1 e 2).
Di fatto, pertanto, con la riforma si rafforza la centralità dell’accertamento con adesione, che potrà essere presentato praticamente in ogni momento del procedimento amministrativo.
Si precisa che la nuova disciplina, come poc’anzi riassunta, diverrà operativa al momento della pubblicazione del predetto decreto ministeriale che dovrà elencare gli atti “automatizzati” per i quali non sarà necessario il contraddittorio preventivo, e comunque varrà per gli atti emessi dopo 30 aprile 2024.
Proprio rispetto al contenuto del decreto ministeriale in partola, emerge una possibile (e grave criticità) del nuovo schema normativo. Dal contenuto di tale decreto (norma di rango subordinato) dipende, infatti, dipenda l’effettiva portata dell’estensione del contraddittorio generalizzato.
Ove, infatti, tra gli atti per i quali il diritto al contraddittorio è escluso dovessero ad esempio rientrare gli “accertamenti parziali” (artt. 41-bis del DPR 600/73 e 54 co. 5 del DPR 633/72; che come noto sono quegli accertamenti fondati sulle c.d. segnalazioni qualificate e che quindi non necessitano di ulteriori riscontri), i quali costituiscono la tipologia largamente maggioritaria di accertamento utilizzata dall’amministrazione finanziaria, la portata innovativa della Delega fiscale verrebbe di fatto svuotata.
Si auspica, inoltre, una chiara presa di coscienza da parte della giurisprudenza della volontà del Legislatore di introdurre un contraddittorio generalizzato che sia anche effettivo. Poco senso avrebbe, infatti, un contraddittorio dove il contribuente è tenuto a fornire dati e informazioni in buona fede se l’interlocutore non fosse obbligato – a pena di rischio di annullamento del successivo atto impositivo – a valutarle in modo equo e imparziale.
In definitiva, l’effettivo impatto dell’obbligo di contraddittorio preventivo sulla posizione dei contribuenti sarà inversamente proporzionale alla numerosità degli atti che saranno inclusi nel citato Decreto ministeriale. Ulteriore variabile che potrebbe influenzare l’efficacia della riforma è l’atteggiamento della giurisprudenza (di legittimità in particolare), in passato poco incline alla valorizzazione di un contraddittorio generalizzato e – soprattutto – effettivo.