promo image
Alert Iva

Applicazione dell’IVA in misura non corretta e recupero dell’imposta

Sentenze Corte di Giustizia UE C-453/22 del 7 settembre 2023 caso Michael Schütte, C-355/22 del 5 ottobre 2023, caso Osteopathie Van Hauwermeiren e C-606/22 del 21 marzo 2024, caso B. sp. z.o.o.s 

A cura di Mario Spera - Pricipal Bernoni Grant Thornton

 

1. Premessa

Un tema di particolare rilievo è quello che affronta la Corte di Giustizia UE (di seguito anche CGUE) con riferimento alla possibilità del soggetto passivo IVA di ottenere il rimborso della maggiore imposta assolta a monte. Di recente la CGUE ha affrontato la questione con la sentenza C-453/22, nella quale un soggetto passivo IVA, rientrante nel regime speciale dell’agricoltura acquistava legna da propri fornitori per la quale era applicata un’aliquota più elevata rispetto a quella che il medesimo soggetto applicava ai propri clienti con assoggettamento ad un’aliquota più bassa, qualificando il bene ceduto come legna da ardere.

Altra sentenza, in cui si affronta la questione da un altro punto di vista, è quella di cui alla sentenza C-355/22, in cui la Corte si pronuncia sulla rimborsabilità di parte dell’imposta versata all’Erario, relativamente ad operazioni qualificate come imponibili, ma che successivamente erano riconosciute come esenti.

La terza ed ultima fattispecie è trattata nella sentenza C-606/22 e riguarda la possibilità del soggetto passivo IVA di recuperare il maggiore ammontare dell’IVA versata all’Erario rispetto all’imposta effettivamente dovuta, con l’applicazione di una aliquota meno elevata, quando per l’operazione interessata non è stata emessa fattura, ma la stessa è stata documentata con scontrino fiscale.

 

2. Causa C-453/22

Si tratta di una fattispecie sorta in Germania, in cui il soggetto passivo IVA Michael Schütte, nell’ambito della sua attività agricola e di silvicoltura, acquistava legname che gli era ceduto con l’applicazione dell’aliquota IVA del 19%, rivendeva lo stesso bene con applicazione dell’aliquota ridotta del 7%, trattandosi di legna da ardere. Il soggetto passivo IVA procedeva alla detrazione dell’intera imposta assolta a monte. Tuttavia, l’Amministrazione contestava l’applicazione dell’aliquota ridotta alle cessioni operate a valle, chiedendo il versamento della differenza dell’imposta non versata. L’accertamento era impugnato e, in sede giudiziale, era non solo riconosciuta l’applicazione dell’aliquota ridotta a valle, ma anche l’applicazione della stessa aliquota alle operazioni a monte, il che portava alla conseguente riduzione della detrazione operata da Michael Schütte.

A questo punto, il soggetto passivo IVA si rivolgeva ai propri fornitori chiedendo, il rimborso dell’imposta in più versata, ma gli era opposta l’impossibilità di accedere a tale richiesta in quanto le operazioni risultavano ormai prescritte in base al diritto civile tedesco. Il soggetto passivo IVA richiedeva all’Amministrazione finanziaria il rimborso della maggiore imposta, in via equitativa, ma l’Ufficio fiscale respingeva l’istanza, ritenendo il soggetto passivo IVA stesso responsabile della situazione, paventando, peraltro, il rischio di un danno erariale qualora anche i fornitori avessero richiesto la restituzione dell’imposta in più versata, per la quale una ipotetica rettifica non avrebbe avuto limiti temporali.

Sulla base dell’ulteriore ricorso avanzato da Michael Schütte, veniva adita la Corte di Giustizia perché si pronunciasse sulla possibilità del ricorrente, in base ai principi di neutralità fiscale e di effettività, di poter chiedere egli stesso il rimborso di quanto pagato in più ai propri fornitori (e da questi versato all’Erario), nonostante questi ultimi avrebbero potuto, in via ipotetica, agire a loro volta ai fini della rettifica delle fatture emesse ottenendo il recupero di quanto già versato in più, con il rischio per l’Amministrazione fiscale di dover rimborsare due volte lo stesso importo senza potersi rivalere nei confronti del ricorrente. 

 

3. Soggetto legittimato a chiedere il rimborso dell’IVA

La questione è stata affrontata dalla CGUE, soprattutto, con le sentenze C-35/05 del 15 marzo 2007, caso Reemtsma Cigarettenfabriken e C-564/15 del 26 aprile 2017, caso Farkas, nelle quali è evidenziata la mancanza di una specifica disciplina comunitaria in tema di rimborsi dell’IVA, per cui occorre far riscorso alle norme interne degli Stati membri da riguardare con riferimento ai principi di equivalenza ed effettività per fare in modo che siano applicate le stesse regole ad operazioni analoghe. In particolare, può considerarsi operante in tutti gli Stati membri il criterio secondo cui nei rapporti tra cedente/prestatore e cessionario/committente nascono due diversi tipi di obbligazioni: da un lato il cedente/prestatore che abbia erroneamente versato una imposta in più nei confronti dell’Erario è il soggetto “legittimato” a chiedere il rimborso dell’IVA; mentre il cessionario/committente è titolato ad esercitare un’azione civilistica di ripetizione dell’indebito nei confronti del proprio dante causa. In questo modo si realizzerebbe in capo al destinatario dell’operazione una perfetta neutralità dell’imposta, in quanto quest’ultimo potrebbe ottenere il rimborso dell’imposta indebitamente versata (cfr. C-35/05, punto 39 e C- 564/15, punto 51).

Il sistema, tuttavia, prevede che in caso di impossibilità o eccessiva difficoltà di ottenere il rimborso da parte di chi ha emesso la fattura, sia lo stesso cliente a poter adire l’Autorità fiscale per il recupero dell’IVA (cfr. citate sentenze, rispettivamente punti 41 e 53), con obbligo di ciascuno Stato membro di dettare le necessarie modalità operative nel rispetto del principio di effettività.

Rifacendosi alle sopraesposte conclusioni, la CGUE nella recente sentenza C-453/22 sottolinea come sia possibile che il cliente possa richiedere il recupero dell’imposta, naturalmente in assenza di frode o abuso, nell’esercizio di tale diritto e semprecchè esistano effettive ragioni che impediscono che la restituzione dell’imposta sia fatta dal cedente/prestatore nei confronti del cessionario/committente.

La Corte, inoltre, nella sentenza in esame C-453/22, sottolinea che qualora i fornitori, dopo aver opposto l’intervenuta prescrizione al cliente, procedano, invece, alla rettifica dell’operazione per ottenerne il rimborso da parte dell’Amministrazione finanziaria, dimostrerebbero, in questo modo, esclusivamente la volontà di ottenere un illegittimo vantaggio fiscale, che deve essere riconosciuto come abusivo e, come tale, non meritevole di accoglimento, evitando così che l’Erario sia esposto al rischio di una doppia restituzione dell’imposta (cfr punto 33). Infine, conclude la sentenza che, a favore del cessionario/committente, in caso di “mancanza di rimborso, entro un termine ragionevole, dell’IVA indebitamente riscossa dall’amministrazione finanziaria, il danno subito a causa dell’indisponibilità dell’importo equivalente a tale IVA indebitamente riscossa deve essere compensato mediante il pagamento di interessi di mora”.

 

4. Rimborso IVA a favore del fornitore

Le altre sentenze citate in premessa offrono lo spunto per esaminare alcune particolari ipotesi di recupero dell’imposta da parte del fornitore, nel caso in cui a seguito del versamento dell’imposta all’Erario si sarebbero verificate le seguenti ipotesi: i) all’operazione effettuata sia riconosciuta la qualità di esente, che come tale non avrebbe dovuto dar luogo ad un versamento dell’IVA (C-355/22); ii) l’operazione doveva essere assoggettata ad una aliquota ridotta, da cui derivava una minore imposta a debito, (C-606/22), ma la stessa operazione era documentata solo con scontrino fiscale.

La prima questione è del tutto peculiare e riguarda sostanzialmente l’ordinamento belga, in cui il giudice potrebbe decidere che siano mantenuti gli effetti dell’imponibilità ad una operazione, nonostante la CGUE sulla stessa questione avesse manifestato una diversa interpretazione che portava a qualificare la prestazione come esente. In particolare, si trattava dei servizi di osteopatia, rispetto ai quali con sentenza C-597/17 del 27 giugno 2019, caso Belgisch Syndicaat van Chiropraxie e a., la Corte aveva ritenuto applicabile il regime di esenzione IVA (e non quello di imponibilità) per i servizi di chiropratica o di osteopatia effettuati da medici e paramedici in possesso dei requisiti propri dello svolgimento della loro attività, come indicato nella normativa nazionale. Nella stessa sentenza C-597/17 la CGUE escludeva la possibilità per il giudice nazionale di potersi avvalere di una disposizione “nazionale” per conservare provvisoriamente l’effetto di norme ritenute incompatibili dalla stessa Corte, nonostante detta scelta intendesse limitare i rischi della mancanza di certezza del diritto derivanti dall’effetto retroattivo dell’annullamento.

Sulla base di questo quadro giurisprudenziale, nella più recente sentenza C-355/22 i giudici UE hanno ritenuto legittima la possibilità dell’osteopata di ottenere il rimborso dell’IVA assolta in misura maggiore di quella dovuta sulla base della precedente pronuncia, non potendo l’Amministrazione fiscale nazionale opporre la presenza di “difficoltà finanziarie e amministrative che potrebbero risultare dall’annullamento delle disposizioni contestate” (cfr. punto 27 della sentenza C-355/22).

Infine, con la sentenza C-606/22 la Corte ha ribadito il principio della spettanza ad un soggetto passivo del rimborso dell’IVA assolta (versata all’Erario) in misura maggiore rispetto a quella dovuta, a nulla rilevando la circostanza che le operazioni non sono documentate da fattura, ma attraverso scontrini fiscali. Tuttavia, la Corte sottolinea che il recupero di imposta non può essere concesso qualora questo sia riconosciuto come “un arricchimento senza giusta causa degli aventi diritto”, circostanza che si potrebbe verificare nel caso in cui “sia stato integralmente neutralizzato l’onere economico che ha gravato il soggetto passivo a causa dell’imposta indebitamente riscossa” dai propri clienti (cfr. punti 34 e 37 della sentenza C-606/22). 

Copia il testo dell'articolo