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Diritto a detrazione per società di comodo
30 ago 2024
Sentenza Corte di Giustizia UE C-341/22 del 7 marzo 2024, Feudi di San Gregorio
A cura di Mario Spera - Pricipal Bernoni Grant Thornton
1. Premessa
La Corte di Giustizia UE (anche CGUE) con la sentenza C-341/22 del 3 marzo 2024, caso Feudi di San Gregorio, affronta una tematica che riguarda specificamente le norme italiane, concernenti la possibilità da parte di una società c.d. di “comodo” di ottenere il rimborso dell’IVA, pur in presenza di una disposizione che nega tale diritto a detta società, in quanto la stessa è considerata come non operativa.
Il problema nasce in relazione alla disposizione dell’art. 30 della L. 23 dicembre 1994, n. 724, secondo cui sono da considerare non operative le società stabilite in Italia (ivi comprese eventuali stabili organizzazioni presenti sul territorio dello Stato) in presenza di ammontare di ricavi complessivi inferiori ad una serie di importi predeterminati per legge. L’effetto del riconoscimento della natura di società “di comodo” impedirebbe il rimborso dell’IVA detraibile, rimborso che si perderebbe se per tre anni consecutivi dovesse permanere la condizione di società non operativa. In proposito, peraltro, la circolare dell’Agenzia delle entrate n. 5/E del 2 febbraio 2007 (“Istanze per la disapplicazione della disciplina sulle società non operative”) specificava che il sistema introdotto intendeva contrastare le c.d. società di comodo, disincentivando il ricorso all’utilizzo di questo strumento societario, che aveva, sostanzialmente lo scopo di avvalersi di norme più favorevoli, senza che fosse esercitata una effettiva attività commerciale da dette società.
La CGUE si pone principalmente il problema della compatibilità delle norme italiane con quelle unionali, segnatamente, con i principi di neutralità fiscale e di proporzionalità e, soprattutto, se sia possibile negare il diritto a detrazione, sancito dall’art. 167 della direttiva 2006/112/CE (direttiva IVA).
A tal fine, la Corte di Cassazione italiana (giudice del rinvio) evidenzia, in primo luogo, il dubbio che “la qualità di soggetto passivo e, di conseguenza, il diritto alla detrazione dell’IVA assolta a monte possano essere negati a una società che effettua operazioni rilevanti ai fini dell’IVA senza tuttavia raggiungere la soglia di reddito prevista dalla normativa italiana (…), qualora tale società non dimostri che situazioni oggettive hanno reso impossibile il conseguimento di redditi superiori a detta soglia”. In conseguenza di ciò, sorge l’ulteriore dubbio della compatibilità della norma nazionale con il diritto alla detrazione, cardine del sistema dell’IVA, nonché con il principio di neutralità dell’imposta e con il principio di proporzionalità, atteso che, pur essendo la lotta alle frodi e all’evasione fiscale “un obiettivo riconosciuto e incoraggiato dalla direttiva IVA, le misure adottate dagli Stati membri non devono tuttavia eccedere quanto necessario per raggiungere tale obiettivo”, né devono “essere utilizzate in modo tale da mettere sistematicamente in discussione il principio di neutralità dell’IVA”.
2. La qualità di soggetto passivo
Dalla lettera dell’articolo 9, paragrafo 1, primo comma, della direttiva IVA, emerge chiaramente che per “soggetto passivo” deve intendersi “chiunque esercita, in modo indipendente e in qualsiasi luogo, un'attività economica, indipendentemente dallo scopo o dai risultati di detta attività”. In particolare, la CGUE sottolinea il carattere oggettivo da attribuire al concetto di attività (“indipendentemente dai suoi scopi o dai suoi risultati”); trattasi di un principio pacifico nella giurisprudenza unionale come, tra l’altro, evidenziato nella sentenza C-604/19 del 25 febbraio 2021, causa Gmina Wrocław, punto 69.
In conseguenza di quanto detto, nella causa Feudi di San Gregorio, è posto in rilievo che non si può negare “la qualità di soggetto passivo IVA al soggetto che, nel corso di un determinato periodo d’imposta, effettui operazioni rilevanti ai fini dell’IVA il cui valore economico non raggiunge la soglia fissata da una normativa nazionale, la quale soglia corrisponde ai ricavi che possono ragionevolmente attendersi dalle attività patrimoniali di cui tale persona dispone” (cfr. punto 25).
Inoltre, con riferimento al diritto a detrazione (art. 167 della direttiva IVA), non si può negare la sua natura di “principio fondamentale del sistema comune dell’IVA”, volto ad assicurare la perfetta neutralità dell’IVA, diretto a sgravare il soggetto passivo dell’imposta applicata sulle operazioni a monte. Questo comporta, perciò, la possibilità dell’operatore economico di “detrarre l’IVA dovuta o assolta per i beni o servizi acquistati quando questi, agendo in quanto tale nel momento dell’acquisto di detti beni o servizi, li impieghi ai fini di sue operazioni soggette ad imposta” (cfr. punto 27). A questo proposito, appare importante il parere espresso dalla CGUE in merito al concetto che la detrazione non può essere negata ad un soggetto passivo, soprattutto quando i beni e servizi ai quali dovrebbe essere applicata la detrazione sono utilizzati a valle per la realizzazione di operazioni soggette ad imposta.
3. Conclusioni della CGUE
Il diritto a detrazione, di cui si discute, impone la sussistenza di “un nesso diretto e immediato tra una specifica operazione a monte e una o più operazioni a valle che conferiscono il diritto a detrazione”, in considerazione del fatto che la concorrenza delle spese effettuate per acquistare beni e servizi risulti “parte degli elementi costitutivi del prezzo delle operazioni tassate a valle che conferiscono il diritto a detrazione” (cfr. punto 29). Tuttavia, il diritto a detrazione può essere riconosciuto anche in mancanza del segnalato nesso diretto, qualora il costo dei beni e servizi a monte sia ascrivibile alle spese generali in capo al soggetto passivo e concorrano alla determinazione del prezzo delle operazioni effettuate a valle. In questo contesto, infatti, si può ragionevolmente presumere che detti costi “presentano (…) un nesso diretto e immediato con il complesso dell’attività economica del soggetto passivo” (cfr. punto 30).
L’ultimo elemento di cui occorre tener conto riguarda la circostanza che la lotta alla frode è un principio riconosciuto dall’ordinamento unionale ed è diretto ad evitare che i soggetti passivi possano avvalersi fraudolentemente del diritto a detrazione. Su questo punto la CGUE è ferma nel riconoscere che sia possibile negare il diritto a detrazione, qualora esso sia richiesto fraudolentemente o abusivamente; tuttavia, poiché questa possibilità si presenta come una eccezione è compito delle “autorità tributarie dimostrare adeguatamente gli elementi oggettivi che consentono di concludere che il soggetto passivo ha commesso un’evasione dell’IVA o sapeva o avrebbe dovuto sapere che l’operazione (…) si iscriveva in una tale evasione” (cfr. punto 34).
Pertanto, la disposizione nazionale oggetto della sentenza sulle società di comodo non sembra che sia diretta a svolgere questo ruolo, nella misura in cui si basa astrattamente su una presunzione che impone a dette società di realizzare una certa soglia di ricavi calcolati secondo i criteri indicati nell’art. 30 della L. n. 724/1994. Trattasi, però, di una presunzione fondata su criteri diversi da quelli richiesti dalla direttiva IVA e che risultano estranei a quelli diretti a dimostrare che ci si trovi in presenza di un comportamento fraudolento/abusivo.
Sulla scorta di queste indicazioni i giudici europei pervengono alla conclusione che non appare in linea con le disposizioni unionali una norma nazionale che priva del diritto alla detrazione un soggetto passivo per il solo motivo che l’importo delle operazioni realizzate a valle da questi risulti insufficiente sulla base di presunzioni teoricamente dettate da una norma.