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Il parere dell'esperto

L'evoluzione del rapporto banca-azienda-advisor

di Marco Badiali - Co-Managing Partner & Head of Corporate Finance Badiali Consulting - Staff Location Bernoni Grant Thornton.


Il recente intervento contenuto nel D.L. 23/2020 convertito nella Legge 40/2020, e più noto come Decreto Liquidità, introduce alcuni strumenti di supporto per l’accesso al credito bancario a favore delle imprese in crisi da Covid-19.

Si tratta in estrema sintesi della possibilità di accedere a garanzie “accessorie” rilasciate dallo Stato per il tramite di propri organismi (Fondo PMI e SACE) finalizzate all’erogazione di finanziamenti da parte del sistema bancario a favore di aziende in crisi a causa della pandemia. Dal contenuto della norma emerge una deadline che separa i fenomeni delle “crisi di impresa” in due aggregati, e precisamente:

Badiali Consulting
Marco Badiali
  • situazioni di crisi aziendali precedenti all’emergenza Covid-19, associate se del caso anche ad un deterioramento delle posizioni di debito verso il sistema bancario;
  • situazioni di crisi aziendali originate direttamente dal lockdown imposto dalla pandemia.

Per quanto riguarda la prima categoria di crisi aziendali la normativa in oggetto sancisce, ampliandola, la casistica di intervento da parte del fondo PMI, e il rilascio di garanzie, consentendone l’accesso a soggetti precedentemente esclusi quali le imprese che al momento della richiesta avessero esposizioni segnalate come “inadempienze probabili” (unlikely to pay, UTP) o “scadute o sconfinanti o deteriorate” (past due).

Deve trattarsi in sintesi di UTP o past due che trovino nell’emergenza Covid-19 la loro ragione. Restano invece escluse le “sofferenze” che costituiscono le Non Performing Exposures (NPE) - alla data del 29 febbraio 2020 - così come le cosiddette imprese “in difficoltà” - alla data del 31 dicembre 2019 – così classificate dalla normativa comunitaria.

Ai sensi del Reg. (UE) n. 651/2014 è infatti considerata in difficoltà:

  • la srl costituita da almeno tre anni le cui perdite eccedenti le riserve sono maggiori della metà del capitale sociale sottoscritto;
  • le snc e sas le cui perdite eccedono la metà dei fondi propri (anche qui vige l’esimente dei tre anni);
  • l’impresa in procedura concorsuale per insolvenza o che ne soddisfa le condizioni (anche le PMI destinatarie delle disposizioni domestiche in materia di c.d. “sovra-indebitamento”);
  • l’impresa che negli ultimi due anni ha avuto un rapporto debito/patrimonio netto superiore a 7,5 e un quoziente EBITDA/interessi inferiore a 1.

Al fine di mantenere situazioni di ongoing concern, pur in presenza di discontinuità operative determinate dal virus, il Decreto Liquidità interviene inoltre sancendo una sorta di “sospensione” della continuità aziendale per gli esercizi 2019 e 2020 per quelle società “sane” che in assenza di Covid-19 non avrebbero riscontrato tali problematiche.

In sintesi non viene assolutamente meno il concetto di continuità aziendale, ma si tenta di isolare il fenomeno Covid-19 quale fattore che ne possa mettere in discussione la sua permanenza. La presenza di condizioni di continuità aziendale ante Covid-19 dovrà pertanto associarsi alla “prevedibile” presenza di continuità aziendale post Covid-19. Ne consegue che la facilitazione introdotta e riguardante il “congelamento” di tale principio imporrà la necessità, con maggiori difficoltà rispetto al passato, di prestare attenzione all’analisi prospettica del business.

Sarà necessario infatti non solo evidenziare ed isolare gli effetti che la pandemia ha procurato e procurerà nel corso del 2020 sulle performance e sugli equilibri economici e finanziari dell’azienda, ma anche avere la capacità di organizzare l’Azienda per un rilancio post crisi.

A nostro avviso questa eccezione ai tradizionali principi di valutazione non rappresenta in ogni caso una garanzia per i diversi soggetti coinvolti nel processo deliberativo del finanziamento di non incorrere in altri tipi di problematiche né, tanto meno, rappresenta un’alternativa per l’imprenditore rispetto al corretto processo decisionale che si deve sviluppare nel momento del ricorso al credito bancario.

Emerge infatti chiaramente che rischi quali il ricorso abusivo al credito e il concorso nel ricorso abusivo al credito, così come la mutazione della composizione del passivo aziendale a seguito del ricorso a finanziamenti garantiti dal Fondo PMI o da SACE (posizioni di credito che divengono “privilegiate”), o addirittura rischi concreti di incorrere in reati ben più gravi (ad es. la bancarotta e il concorso in tale reato) non risultino sicuramente superati dalla previsione di “congelamento” del principio di continuità aziendale.

Il Covid-19 e gli interventi di sostegno governativo per far fronte alle crisi di liquidità delle imprese generate dal dispositivo di lockdown, non modificano tuttavia lo scenario di riferimento che già doveva contraddistinguere corrette funding strategy.

La convinzione che abbiamo maturato ci porta a concludere che le misure agevolative concesse (garanzia da parte dello Stato sui finanziamenti bancari) e la sospensione del principio di “continuità aziendale” (riferito alle specificità del periodo intra-Covid) non rappresentino elementi che consentano la semplificazione nell’assunzione delle decisioni di finanziamento. Viceversa, la discontinuità che registreremo nel mercato e nel contesto competitivo delle aziende post lockdown impone già oggi all’imprenditore un approccio innovativo al proprio processo di analisi e assunzione di decisioni finalizzate alla richiesta di nuova finanza o alla ristrutturazione dei propri debiti.

Un percorso che giunge all’individuazione del corretto strumento di finanziamento (o rifinanziamento) solo al termine di un processo di analisi della situazione attuale dell’azienda, di formulazione degli obbiettivi di medio-lungo termine, di esplicitazione della richiesta finanziaria e di verifica della sua sostenibilità.

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L’obbiettivo del debt advisor è quello di accompagnare l’impresa in un percorso di gestione strategica che, partendo dall’analisi del contesto attuale, permetta la gestione dello stato di crisi in una prospettiva di rilancio e di conseguente sostenibilità e utilità del finanziamento richiesto all’istituto di credito.

Abbandonare in questo momento l’idea di ripensare a una vision di medio termine concentrandosi esclusivamente sulle necessità del breve rischia infatti di condurre l’azienda in uno stato di totale passività, in una condizione di torpore strategico che potrebbe risultare esiziale, con una manifestazione degli effetti anche postuma allo stretto periodo dell’emergenza.

Il modello proposto permette viceversa di saldare fra di loro il concetto di continuità aziendale e quello di gestione delle situazioni di crisi rispetto a un piano diverso e prioritario, cioè quello della strategia. In questo senso, non si discute più di “continuità aziendale”, ma di Sistema di Continuità Aziendale, non si parla di “gestione della crisi” ma di Sistema di Gestione della Crisi, proprio per mettere in rilievo la necessità di sviluppare un approccio sistemico al rischio imprenditoriale, quale apex di una piramide di competenze che trova il suo posto nella fase di determinazione strategica.

Nella pratica questo corrisponde ad affermare la priorità della strategia rispetto all’operatività e nel contempo a riconoscere che il legame tra i due piani di decisione e azione non è di tipo lineare, ma circolare.

L’approccio alla “continuità” e alla gestione delle “emergenze” entra a far parte della strategia, in modo non solo preventivo, ma proattivo, influenzando la fissazione degli obiettivi di medio-lungo termine da preservare nella fase attuativa.

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La chiave univoca per legare circolarmente strategia e operatività in un continuum di decisioni e azioni è la gestione della conoscenza e delle sue dinamiche, altrimenti detta Knowledge Dynamics Management.

E non è un fatto sfuggito a molti che la peggiore delle contingenze affrontate dal nostro sistema-Paese in questa crisi pandemica è proprio relativa al tema delle competenze, a tutti i livelli, dall’ambito politico a quello imprenditoriale, fino ad arrivare al singolo individuo membro di una collettività disorientata e confusa.

Questo è il nuovo contesto che deve accompagnare l’attività del debt advisor, con il presupposto di legare in un sistema unico il trinomio, troppo spesso separato, banca-advisor-azienda, permettendo il definitivo superamento di logiche di comportamento individuali, orientate a cercare di far prevalere gli interessi di parte, spesso individuabili:

  • nell’organizzazione del sistema delle garanzie, nel pricing dell’operazione e nella scelta dello strumento di finanziamento – da parte della banca;
  • nel miope approvvigionamento finanziario – da parte dell’azienda;
  • nel closing del deal – da parte dell’advisor.

Una logica questa che deve ritenersi ormai definitivamente superata. Il debt advisor viene oggi ad assumere una posizione ancor più strategica rispetto al passato con un ruolo indirizzato prima di tutto ad assistere l’azienda nella verifica del reale stato di salute finanziaria, confrontarsi con il management nella formulazione delle strategie di medio-lungo termine, individuare il miglior strumento finanziario strumentale al raggiungimento degli obbiettivi, verificare la sostenibilità economica e finanziaria della richiesta avanzata alla banca.

Attraverso questo tipo di approccio sarà possibile creare un contesto di fiducia reciproca fra i tre attori del processo ed agevolare l’iter istruttorio e deliberativo determinando conseguentemente l’erogazione di finanziamenti che permettano di creare un valore complessivo quale somma del valore creato per i singoli soggetti coinvolti.

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