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Dal remote working allo smart working

Tutte le organizzazioni, seppure in misura diversa in ragione dell’attività svolta, hanno forzosamente implementato - e dunque sperimentato - in questi ultimi mesi, il telelavoro o remote working. E’ la modalità operativa che ha permesso a molte industry di continuare a fornire servizi, nonostante l’emergenza epidemiologica, sostanzialmente senza soluzione di continuità, preservando la salute di dipendenti, free lance, collaboratori, etc., oltre che l’esistenza dell’impresa stessa, permettendo di contenere il rischio che si incorresse in danni economici difficilmente reversibili. In via preliminare, accostandosi alla tematica in parola, è necessario fare chiarezza quanto alla terminologia.

Molto spesso ultimamente, per definire l’attività lavorativa svolta dalla propria abitazione, si è ricorsi indistintamente al termine smart working che, in realtà, è una modalità riservata ai soli lavoratori dipendenti, normativamente regolata (Legge n. 81/2017), la quale si sostanzia in una evoluzione del concetto di telelavoro.

Secondo la definizione formulata dal Prof. Mariano Corso, responsabile scientifico dell’Osservatorio Smart Working del Politecnico di Milano “lo smart working, o lavoro agile, è una nuova filosofia manageriale fondata sulla restituzione alle persone di flessibilità e autonomia nella scelta degli spazi, degli orari e degli strumenti da utilizzare a fronte di una maggiore responsabilizzazione sui risultati.

Un nuovo approccio al modo di lavorare e collaborare all’interno di un’azienda che si basa su quattro pilastri fondamentali: revisione della cultura organizzativa, flessibilità rispetto a orari e luoghi di lavoro, dotazione tecnologica e spazi fisici”. Lo smart working è, dunque, “lavoro autonomo intelligente per obiettivi”, già da tempo implementato e funzionante in settori quali quello dello sviluppo dei software, dell’high tech, del fintech ed in attività che interagiscono costantemente a livello internazionale.

Il remote working, invece, è assimilabile al telelavoro i.e. alla delocalizzazione del lavoro.

Ed ancora, per molti versi può dirsi che il fenomeno al quale stiamo assistendo in questo periodo più correttamente dovrebbe definirsi emergency working, in quanto si tratta essenzialmente di un telelavoro destrutturato, non organizzato e non inserito in una strategia aziendale di medio-lungo periodo.

Al di là della terminologia, tale modalità operativa ha comportato indubbi benefici, consentito una più diffusa comprensione dei vantaggi in termini di efficienza e di efficacia che possono derivarne, permesso di valutare come in parte inesistenti, e in larga parte superabili, i limiti che lo stesso implica (ci si riferisce principalmente all’assenza del lavoratore dal luogo in cui tradizionalmente si svolge l’attività economica dell’organizzazione di cui lo stesso fa parte).

Si delinea già una marcata tendenza, almeno nelle intenzioni, ad implementare, terminata la fase emergenziale, nuovi modelli organizzativi che possano avvicinarsi a modelli concreti di smart working, supportati da previsioni normative più complete e rispondenti al mutato quadro operativo.