Parere dell'esperto

I nuovi strumenti delle retention policy aziendali

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Nell’ottica delle policy di retention - che si rivelano sempre più opportune per mantenere i talenti - e con la necessaria attenzione al contenimento dei costi, negli ultimi anni stiamo assistendo ad un crescente ricorso da parte delle aziende a politiche retributive attuate anche mediante il riconoscimento di beni e servizi sotto forma di fringe benefit o welfare aziendale.

Tali forme di retribuzione in natura consentono, altresì, di garantire ai lavoratori la possibilità di fruire direttamente di beni e servizi comprimendo anche il pesante cuneo fiscale e contributivo che grava ordinariamente sui redditi di lavoro dipendente.

Effetti che paiono essere apprezzabili, anche in termini di capacità effettiva di spesa dei lavoratori: secondo una ricerca di “The European House Ambrosetti”, i recenti innalzamenti del limite di esenzione fiscale dei beni in natura erogati ai dipendenti, riproposti dalle più recenti Leggi di Bilancio, avrebbero portato ad un incremento dei consumi delle famiglie stimabile in otto decimi di punto.

Tuttavia, pur alla luce di quanto precede e nella consapevolezza del valore incentivante di tali misure, le società sono tenute ad una attenta valutazione in merito alle misure alle quali dare applicazione, onde evitare di inficiare (quando non vanificare) gli effetti delle policy adottate.

Infatti, il ricorso all’erogazione di beni o servizi in natura presuppone una approfondita conoscenza della popolazione aziendale, sia in termini di aspettative ed esigenze familiari – attesa la natura “assistenziale” che caratterizza una buona parte del welfare aziendale riconoscibile in regime di non concorrenza alla formazione del reddito di lavoro dipendente – che di criteri soggettivi, ai fini dell’ottimale applicazione delle “franchigie” di non imponibilità dei fringe benefit propriamente detti.

In questo senso, si rivela di fondamentale importanza – ai fini di un efficace ricorso a tali strumenti - districarsi in una chiara definizione di cosa è considerabile “fringe benefit” e cosa “welfare aziendale”.

Si tratta, in effetti, di terminologie mutuate dal mondo anglosassone e che non trovano una piena corrispondenza nel nostro ordinamento, con effetti variabili dal punto di vista fiscale e contributivo.

Volendo tracciare una demarcazione, possiamo considerare come “welfare aziendale” quel complesso di beni e servizi aziendali erogabili in relazione alla generalità o a categorie di dipendenti e che – proprio per questo, conformemente anche alla posizione dell’Agenzia delle Entrate - rivestono un carattere “assistenziale”, ancor prima che propriamente retributivo.

Diversamente, con “fringe benefit” si fa frequentemente riferimento all’erogazione di beni e servizi con una più spiccata natura “retributiva” e che, alla luce delle previsioni normative, possono essere riconosciuti anche “ad personam”, rappresentando, quindi, un più agile strumento retributivo finalizzabile anche alla volontà di costruire un pacchetto retributivo a specifici dipendenti.

Ne consegue che, mentre il riconoscimento del fringe benefit trova ordinariamente la sua fonte istitutiva in accordi individuali stabiliti tra il datore di lavoro e il lavoratore (rimanendo indifferente se gli stessi sono raggiunti al momento dell’assunzione o successivamente in costanza del rapporto di lavoro), il welfare aziendale è, di norma, istituito e disciplinato mediante accordo collettivo ovvero regolamento interno.

Per dare un’idea di massima, possono rientrare – a titolo esemplificativo – nella fattispecie del welfare aziendale:

  • i contributi a casse di assistenza sanitaria integrativa;
  • le prestazioni di servizi di trasporto collettivo;
  • il rimborso di abbonamenti per il trasporto pubblico locale;
  • l’utilizzazione di opere e servizi per finalità di educazione, istruzione, ricreazione, assistenza sociale e sanitaria o culto;
  • le somme, i servizi e le prestazioni erogati per la fruizione, da parte dei familiari, dei servizi di educazione e istruzione, nonché per la frequenza di ludoteche e di centri estivi e invernali e per borse di studio;
  • le somme e le prestazioni erogate per la fruizione dei servizi di assistenza ai familiari anziani o non autosufficienti;
  • i contributi e i premi versati per prestazioni, anche in forma assicurativa, aventi per oggetto il rischio di non autosufficienza nel compimento degli atti della vita quotidiana o aventi per oggetto il rischio di gravi patologie.

Sono riconducibili, invece, ai fringe benefit:

  • i beni ceduti e i servizi prestati in natura;
  • la concessione di auto in uso promiscuo;
  • la concessione di prestiti;
  • per il triennio 2025-2027, le somme erogate o rimborsate dal datore di lavoro per il pagamento delle utenze domestiche relative al servizio idrico integrato, all’energia elettrica e al gas naturale, nonché le spese per l’affitto della prima casa ovvero per gli interessi sul mutuo relativo alla prima casa.

È opportuno, altresì, evidenziare come, mentre il welfare aziendale non concorre nella sua interezza a costituire reddito di lavoro, i fringe benefit devono essere valorizzati - al loro “valore normale” ovvero “convenzionale” (tema sul quale, per ragioni di brevità soprassiederemo in questo contributo) e, al superamento di una franchigia cumulativa di legge, risultino interamente imponibili.

Al proposito, è giusto il caso di ribadire come negli ultimi anni tale franchigia, ordinariamente fissata in € 258,23 Euro annui (valore, a parere di chi scrive, eccessivamente basso e tale da “disinnescare” l’efficacia dello strumento fringe benefit) sia stata oggetto di continui, ancorché provvisori, innalzamenti che si concretizzano – per il triennio 2025-2027 – nelle attuali misure di 1.000 Euro annui per la generalità dei dipendenti ovvero di 2.000 Euro annui per i dipendenti con figli a carico.

È di tutta evidenza come il quadro complessivo emergente si manifesti come estremamente complesso e come conseguentemente le aziende e gli HR manager si possano trovare scoraggiati nell’adottare tali forme di remunerazione complementare.

Di qui l’opportunità di avvalersi di figure professionali, quali i consulenti del lavoro, che in ragione delle proprie competenze specifiche possano efficacemente assistere le società nel percorso di “costruzione” delle politiche di welfare aziendale e di concessione di fringe benefit, così da sfruttare appieno le opportunità che l’ordinamento attuale offre.

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Fringe Benefit e Welfare aziendale

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