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Le strategie di posizionamento dei fondi di Private Equity in Italia

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Con il termine Private Equity si indica, oramai a livello globale, “l’attività di investimento nel capitale di rischio di imprese non quotate, con l’obiettivo della valorizzazione dell’impresa oggetto dell’investimento ai fini della sua dismissione entro un periodo di medio-lungo termine”. Tipicamente questa attività viene esercitata attraverso la struttura operativa tipica dei c.d. Fondi.

Il coinvolgimento dei Fondi va oltre il semplice finanziamento; di fatto questo si estrinseca nel mettere in atto le strategie di crescita preventivamente definite, migliorare l’efficienza operativa, aumento del fatturato, diversificazione del portfolio prodotti/servizi e penetrazione di nuovi mercati. Attraverso questa partnership, le aziende partecipate possono intraprendere un percorso di crescita, ovvero migliorare la propria efficienza operativa e rafforzare la propria posizione competitiva. Per valorizzare le aziende acquisite, i fondi di Private Equity implementano strategie di sviluppo oramai consolidate quali, ad esempio, lavorando a stretto contatto con il management delle società coinvolte apportando non solo competenze e know-how specifici nel settore di riferimento, ma anche una vasta gamma di risorse finanziarie. 

I principi sopra descritti, rappresentano le linee guida generali sottostanti alle diverse tipologie di Fondi di Private Equity, seppure ciascuno di questi abbia una propria strategia di investimento, normalmente definita in gergo anglosassone “IC – Investment Criteria” e, in via del tutto sintetica ed esemplificativa, prevede un orientamento specifico in ciascuno dei seguenti ambiti: 

  • l'importo massimo degli investimenti, cioè l’apporto di equity del fondo nelle operazioni di investimento (Ticket);
  • lo stadio di sviluppo delle aziende target (Stage); 
  • la localizzazione geografica (Geografia); 
  • il settore di riferimento (Industry).

Storicamente, a livello generale, seppure ciascun fondo abbia caratteristiche uniche che lo contraddistinguono dagli altri, è altresì vero che, sulla base della tipologia di investimento (maggioranza/minoranza), del ticket di investimento (small/mid/large cap) e della maturità delle target (growth/value) vi sono criteri comuni per ciascun tier della matrice. Ai fini esemplificativi, nel mercato italiano, ca. il 70% delle operazioni di PE nel suo senso lato (per numero di operazioni e non di controvalore cumulato delle stesse e/o per livello di AuM dei diversi Fondi) ha come target, società small-mid cap (il che risulta abbastanza logico, sulla base di un tessuto economico composto al 95% da PMI).

Pertanto, i fondi che operano in questo segmento, presentano IC comuni, quali, prediligere investimenti di maggioranza, target con flussi di cassa stabili/in crescita (rappresentativi di settori anticiclici), operazioni di MBO (management buy-out) - inteso anche come re-investimento dei soci fondatori, etc. Così come i criteri, anche i razionali presentano tratti comuni, quali la strutturazione di una linea manageriale efficiente, l’internazionalizzazione del business e la crescita inorganica della target, per tramite di un processo di build-up.

Tuttavia, nonostante i criteri comuni dei diversi tier di Fondi (sopra elencati) nonché dei razionali comuni, trasversali ai tier (migliorare l’efficienza operativa, aumento del fatturato, diversificazione del portfolio prodotti/servizi e penetrazione di nuovi mercati), negli ultimi anni, si è assistito a un cambiamento di IC specifici che contraddistinguono i tier, andando ad avvicinare le modalità, le forme e i criteri di investimento di tutti i Fondi, indipendentemente dal ticket e dagli altri fattori. Infatti, pendendo in esame la situazione italiana, dal 2012 al 2019, si è assistito ad un incremento di operazioni di Leverage Buy Out (LBO) e di Expansion (investimenti in società growth) rispetto al passato, le quali avevano precedentemente subito un forte rallentamento nel post crisi finanziaria globale del 2008 – visto il rischio implicito significativamente elevato. Infatti, la contrazione dei tassi di riferimento della BCE, nonché la quantità di moneta emessa nel decennio, hanno, tra l’altro, stimolato l’economia finanziaria legata alle operazioni di M&A, potendo i Fondi di PE utilizzare una leva significativa nelle proprie acquisizioni, ovvero un impiego minore di capitale proprio e, di conseguenza, effettuare anche investimenti con un rapporto di rischio/rendimento maggiore (investimenti growth). Per quanto concerne le operazioni di LBO, antecedentemente al 2008, si poteva assistere a leve finanziarie di 80-90% (soprattutto negli US), mentre, negli anni successivi, la leva utilizzata risultava essere quasi nulla a causa dello shock psicologico della crisi bancaria americana e del pessimismo nel outlook di mercato. Negli anni successivi al 2012, seppure vi sia stato un re-integro della leva nelle prassi di mercato per le operazioni di PE, questa non è andata ad eccedere il 50-60%. Inoltre, in Italia, le operazioni di LBO si sono affermate solo dal 2003 in poi e, comunque, non hanno rappresentato la struttura più comunemente utilizzata fino al 2011-2012. In questi anni, le congiunture del mercato (conseguenze della crisi del 2008) unitamente ad una situazione sociopolitica complessa in Italia, hanno fatto sì che le aziende del paese, causa rischio implicito dello stesso, fossero essenzialmente “economiche” agli occhi degli investitori stranieri che, hanno importato strutture finanziarie più sofisticate e basate su utilizzo costante di leva finanziaria (ma anche mezzanine financing, preferred equity, etc.).

Pertanto, negli anni dal 2012 al 2020, l’Italia ha vissuto una segmentazione dei Fondi su diversi tier (basati sugli IC), dovuta al progressivo aumento di operazioni di M&A e specializzazione dei fondi stessi. Nel 2020, a seguito del COVID-19, si è assistito ad un evento “sconosciuto” ai più, ovvero di una pandemia: un evento non prevedibile e legato a cause esogene al mercato. Infatti, il lockdown, ha segnato un rallentamento traversale dell’economia, il quale si è tradotto in flussi di cassa in calo (in molti casi, negativi). Inoltre, arrivando da un periodo di facile accesso al credito ed espansione economica, durato per ca. 8-10 anni, molte società medio-piccole, riportavano flussi di cassa “drogati” da questi fattori e non direttamente imputabili ad una crescita reale del business. Dunque, il COIVD-19, ha avuto un effetto di catalizzatore alla crisi di molte imprese, già in precario stato economico-patrimoniale. Il risultato è stato un mercato estremamente volatile per quanto concerne i flussi di cassa delle aziende, il che ha portato i vari Fondi ad indagare i propri IC e le proprie partecipate. La conseguenza ultima è stata la revisione dei criteri di investimento da parte dei player finanziari, optando per business anticiclici e con fondamentali estremamente solidi (paradossalmente, il 2020 è diventato un anno di riferimento estremamente rilevante per comprendere se una target sia effettivamente basata su un business model solido e abbia una concreta penetrazione di mercato o meno).

Perciò, i Fondi che investono in Italia oggi, risultano essere sempre parzialmente suddivisi sulla base di ticket di investimento, maturità delle target, settore di riferimento, etc., seppure, al contempo, vi siano requirements comuni come corollari per finalizzare un investimento (ad esempio, negli anni pre-pandemia, i fondi tendevano a concentrare gli investimenti in uno o pochi settori, tra loro limitrofi, concentrandosi su aziende geograficamente vicine e con modelli di business simili, mentre, ad oggi, vi è una ricerca di diversificazione nei portafogli e, comunque, di società solide sui propri fondamentali, così come di expertise settoriale molto sviluppata per poter comprendere la bontà di un business). Essenzialmente, da un lato i Fondi hanno iniziato a cercare caratteristiche comuni nelle società su diversi settori (a livello di fondamentali), diversificando il rischio geografico, non avendo più il limite stringente di investimento in una specifica area molto ridotta, e, il trend di specializzazione dei Fondi, è continuato rispetto agli anni post crisi finanziaria, seppure con una sfumatura differente (non tanto di concentrazione in pochi settori, bensì appoggiandosi ai cd. industry experts per valutare molto più attentamente l’analisi del settore di riferimento così come il posizionamento dell’azienda nello stesso). Da un mercato nel quale il facile accesso al credito congiuntamente ad architetture finanziarie complesse, basate sull’archetipo del LBO, ha generalmente prediletto investimenti in società con alto livello di rischio/rendimento, si è tornati ad un’analisi più dettagliata dei sottostanti (ricerca di solidità nei fondamentali) delle target così come di mercati stabili su diverse situazioni economiche (defensive e, generalmente, anticiclici).  

Il cambio degli IC, in molti casi, ha indotto gli operatori a dotarsi di una nuova architettura organizzativa, smontando quella del tradizionale Fondo Chiuso e passando a forme meno rigide, a perimetro variabile, e con la fondamentale possibilità di coinvolgere non solo investitori istituzionali (tipicamente: banche, assicurazioni, fondi pensione e fondi di fondi)   ma anche investitori individuali il cui contributo può essere non solo di apporto di capitali ma, anche, di intangibles quali: competenze settoriali, networking operativo, organizzativo e commerciale, credibilità, proprio per poter valutare al meglio i fondamentali delle aziende.

Anche sul mercato italiano, finalmente, fanno il loro ingresso gli Investment Club, i Continuation Fund, i Search Fund, i Permanent Capital, ecc, amplificando non solo il numero di operatori disponibili ma favorendo alle imprese un ventaglio di soluzioni decisamente più ampio e, soprattutto, meglio adattabile alle proprie esigenze strategiche.

L’analisi e i dati presenti ne Il parere dell’esperto e nell’Approfondimento sono frutto della ricerca “Analisi dell’evoluzione delle strategie di posizionamento dei fondi di Private Equity in Italia dal 2013 al 2023” a cura di Sante Maiolica e Lorenzo Bocchieri.