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Così l’Industria 4.0 ha cambiato il modo di fare consulenza

Alessandro Dragonetti
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I maggiori Paesi industrializzati del mondo si sono mossi da tempo in direzione della Quarta Rivoluzione Industriale, secondo direttive comuni e, dal 2013 a oggi, l’Industria 4.0 è entrata nelle agende di tutti i principali governi con l’obiettivo di rendere l’economia sempre più efficiente. Pertanto, la modernizzazione e in particolare il progresso digitale hanno determinato, e determineranno, significativi cambiamenti, anche nella consulenza d’impresa. Già alla fine del 2019, secondo il primo Censimento permanente delle imprese curato dall’Istat, circa tre quarti delle aziende italiane con oltre dieci addetti erano impegnate in investimenti digitali.

Soltanto il 3,8% di queste, però, si trova già nella fase di maturità digitale, mentre la maggioranza sta ancora sperimentando nuove soluzioni tecnologiche e organizzative; e questo è il segnale più evidente di quanto margine di crescita ci sia per il nostro Paese su questo fronte. Tale fenomeno evolutivo ha poi recentemente subito un ulteriore impulso a causa della pandemia. Non possiamo, infatti, non constatare come l’impossibilità di incontrare fisicamente colleghi, clienti e prospect abbia imposto nuovi strumenti digitali e assieme modificato il rapporto tra cliente e consulente.

La facile e veloce reperibilità di informazioni tecniche e commerciali rende più complesso il compito del consulente, al quale è, infatti, sempre meno richiesto un confronto di tipo «statico» e «nozionistico» (facilmente reperibile); dallo stesso il cliente si aspetta qualcosa di più. Condizione basilare per poter gestire questa inversione di approccio consiste nel «capire quale sia il bisogno del cliente».

Per poter agire in questo modo, il consulente deve sapere lavorare in team, identificando, dal confronto con i colleghi, le soluzioni più idonee al soddisfacimento dei bisogni e degli interessi del cliente, nonché cogliendo ulteriori temi e opportunità che potrebbero essere di interesse dello stesso. La dinamicità dell’approccio implica altresì la necessità di sapere comunicare al cliente le informazioni necessarie a stimolare/accettare il contatto, anche avvalendosi degli strumenti e delle piattaforme digitali disponibili, ricercando una giusta sintesi tra l’informalità connaturata nell’utilizzo di tali strumenti con la precisione e la professionalità che la consulenza di qualità richiede.

Il consulente deve agire da punto di riferimento del team avvalendosi del supporto e del contributo dei colleghi (spesso più specializzati) sia nella fase di anamnesi che in quella di diagnosi per finire con quella della cura (la consulenza). Tutto questo abbandonando i tradizionali impulsi individualistici. In tale ambito, la comunicazione interna tra i membri del team, agevolata dal ricorso ai sopra citati strumenti digitali («facilitatori»), è sempre più strategica rappresentando uno dei principali fattori del successo.

Tale comunicazione non riguarda solamente l’indicazione delle attività che sono oggetto di svolgimento, ma investe tutto il processo in cui il consulente è coinvolto: dall’identificazione delle opportunità, alla definizione della strategia da implementare alla gestione della delivery per concludersi con la rilevazione del feedback al termine della prestazione ed, eventualmente, il miglioramento della stessa, qualora questa non soddisfi adeguatamente le aspettative del cliente.

Al consulente è richiesto di capire il problema e trovare le soluzioni idonee al suo soddisfacimento, senza cadere altresì nella tentazione di cercare di adattare le soluzioni che ritiene (a priori) più valide qualora le stesse non presentino adeguati profili di idoneità rispetto al soddisfacimento dei bisogni del cliente. Questo nuovo approccio sottende inoltre un’impostazione mentale di tipo proattivo da parte del consulente, il quale non si limita a esaudire le richieste del cliente ma, anche grazie al lavoro di team, cerca di identificare bisogni di cui il cliente stesso non ha piena consapevolezza.

Il consulente di oggi è pertanto profondamente diverso da quello di ieri. Senza entrare nel dettaglio delle cause che hanno determinato (e continuano a determinare) la metamorfosi delle sue competenze e del suo ruolo possiamo rilevare come lo stesso non abbia scelta: opporsi al cambiamento, rischiando di essere sempre meno attore dei processi in quanto assimilato a una commodity, o decidere di adeguarsi allo stesso e sfruttarne la forza e la traiettoria (come un abile surfista). In questo secondo (e virtuoso) caso è molto probabile che il suo ruolo evolva ulteriormente da quello di consulente a quello di trustee advisor.